giovedì 22 agosto 2013

L’evidenziatore tra le pagine #10 Letture sotto l’ombrellone

Ora che l’ho finito, posso sicuramente dire che Norwegian Wood, è uno dei più bei libri letti fino ad ora sotto l’ombrellone. Era da tanto tempo che non incrociavo una storia così, una storia capace di prendermi fin dall'inizio, una storia che non mi ha dato tregua finché non sono arrivato all'ultima pagina.
Murakami è riuscito  a concentrare in questo  libro una storia di solitudine e dolore, di speranza e riflessione, di angoscia, morte e rinascita. 
Midori resterà per i miei gusti un bellissimo personaggio femminile,. Fragile e forte. Donna e bambina. Determinata. Semplice. Innamorata. Dignitosa, anche nel modo di vivere il proprio dolore. Il suo è il personaggio che più mi ha conquistato in questo romanzo, ma mi sono molto affezionato anche al narratore. 
Quella di Norwegian Wood è una storia che conta ben quattro suicidi, cosa che di per sé mi ha riempito di angoscia. Eppure, alla fine, quando sono  restato sospeso in quella telefonata tra Midori e Watanabe, quando le parole sono terminate ed è rimasto solo lo spazio bianco, l'angoscia non era il sentimento che prevaleva in me. Sentivo qualcosa di più simile alla speranza. La speranza che per tutti noi, qualunque sia la cicatrice che ci portiamo dentro, ci sia un futuro migliore da qualche parte, popolato da persone che sapranno aiutarci a rimarginarla, quella cicatrice. Dobbiamo solo crederci ed essere abbastanza curiosi per andare a vedere come sarà, il nostro futuro.


Ecco la colonna sonora del romanzo. La canzone preferita di Naoko.

martedì 20 agosto 2013

DVD…di tante estati fa'

Colline. Toscana. Ocra e verde. Covoni. Piscina. Una bellissima Liv Tyler. Educazione sentimentale. Fiori di campo. Foglie d’olivo. Una gonna rossa. Villa Donati. Affreschi. Lanterne. Aria immobile del pomeriggio. Sole. Terracotta. Volti. Legno. Un vestito a fiori. Nina Simone. Giacche e cappelli. Amore. Morte.
C’è tutto questo dentro Io ballo da sola. Per stare bene devo rivederlo almeno una-due volte l’anno, e soprattutto d’estate, soprattutto in agosto, per immaginare di avere ancora diciannove anni.



sabato 17 agosto 2013

Colori appesi a un filo

I colori di numerosi aquiloni caratterizzano queste giornate estive in spiaggia. Belli e fragili spaziano il cielo e il tempo sopra le teste di noi bagnanti distratti, tra sbalzi e corse precipitose governano la vastità dell’azzurro. Un lungo filo li lascia vagare come pensieri leggeri, solo fino a quando un repentino scatto li farà scendere sulla spiaggia e come ali di farfalla, gli aquiloni distesi, tremanti, sembreranno tanti fiori di campo sulla calda sabbia d’agosto.


venerdì 16 agosto 2013

buonFerragosto!!!

L'estate è come un fuoco d'artificio di Ferragosto...bella, piena di luci, di botti, di sorprese...di bagliori...ma breve...troppo breve.

mercoledì 14 agosto 2013

Letture sotto l'ombrellone


Un racconto anonimo ambientato nel metrò di New York appare su “Craigslist”, nella sezione Missed Connections di Brooklyn che accoglie i “post-it” di spasimanti troppo timidi per farsi avanti in metrò o bus, e spopola con il passaparola online. Ecco il testo integrale secondo la traduzione pubblicata oggi da La Repubblica.
Ti ho vista sul treno della linea Q di Brooklyn diretto a Manhattan. Io indossavo una maglietta a righe blu e un paio di pantaloni marrone rossiccio. Tu indossavi una gonna vintage rossa e un’elegante camicetta bianca. Entrambi portavamo gli occhiali. Immagino che li portiamo ancora adesso. Tu sei salita a DeKalb, ti sei seduta di fronte a me e ci siamo guardati negli occhi, per poco tempo. Mi sono innamorato un po’ di te, in quel modo stupido di quando immagini una persona diversa da quella che stai guardando. E ti innamori di lei. Tuttavia, credo ancora che in fondo ci fosse davvero qualcosa.
Ci siamo guardati parecchie volte. Poi abbiamo distolto entrambi lo sguardo. Ho provato a immaginare qualcosa da dirti — forse fare finta di non sapere dove eravamo diretti e chiederti indicazioni, oppure dire qualcosa di carino sui tuoi orecchini a forma di stivale, o semplicemente «che caldo!». Ma mi sembrava così banale.
A un certo punto ti ho sorpreso mentre mi osservavi. E tu hai distolto immediatamente lo sguardo. Hai tirato fuori un libro dalla borsa e hai iniziato a leggerlo — una biografia di Lyndon Johnson —, ma mi sono accorto che non hai girato pagina neppure una volta. Dovevo scendere a Union Square, ma a Union Square ho deciso di restare a bordo. Ho pensato che avrei potuto prendere la Linea 7 scendendo alla 42esima Strada, ma poi non sono sceso neppure alla 42esima. Anche tu devi aver saltato la tua fermata, perché siamo finiti entrambi al capolinea di Ditmars. Qui siamo
rimasti seduti, tutti e due, in attesa. Ho inclinato la testa verso di te con curiosità. Tu ti sei stretta nelle spalle e hai tenuto in mano il libro, come se il motivo fosse quello. Ma non ho detto niente.
Abbiamo ricominciato il tragitto all’incontrario — giù lungo Astoria, attraverso l’East River, spostandoci attraverso Midtown, da Times Square a Herald Square a Union Square, passando sotto SoHo e Chinatown, transitando sul ponte e tornando a Brooklyn, superando Barclays e Prospect Park, e ancora Flatbush e Midwood e Sheepshead Bay, fino in fondo a Coney Island. E arrivati a Coney Island, sapevo che dovevo dire qualcosa. Ma non ho detto niente.
Così siamo ripartiti di nuovo. Abbiamo fatto su e giù lungo la linea Q, tante tante volte. C’era folla nell’ora di punta, poi non più. Abbiamo visto il sole tramontare su Manhattan mentre attraversavamo l’East River. Mi sono dato delle scadenze: adesso le parlo prima di arrivare a Newkirk; anzi, no, prima di Canal. Invece sono rimasto zitto.
Per mesi siamo rimasti seduti nel vagone, senza dirci niente. Siamo sopravvissuti grazie a sacchetti di caramelle Skittles venduteci da alcuni ragazzini per finanziare le loro squadre di basket. Forse in treno abbiamo ascoltato un milione di musicisti di mariachi, e per poco non siamo stati presi a calci in faccia da centinaia di migliaia di ballerini di break dance. Ho fatto l’elemosina fino a restare senza banconote da un dollaro. Quando il treno risaliva in superficie ricevevo sms e messaggi vocali («Dove sei? Che cosa ti è successo?
Stai bene?»), fino a quando la batteria del mio cellulare si è spenta. Le parlerò prima dell’alba. Le parlerò prima di martedì. Più aspettavo, più diventava difficile. Che cosa avrei mai potuto dirti a quel punto, mentre superavamo quella stazione per la centesima volta? Forse, se fossimo ritornati alla prima volta in cui la linea Q aveva cambiato tragitto sulla linea locale R del weekend, avrei potuto dire: «Così non va bene ». Ma ormai non potevo più dirlo, vero? Mi prenderei a calci da solo per giorni interi se penso a quante volte hai starnutito: perché non ti ho detto: «Salute!»? Quella semplice parolina sarebbe stata sufficiente a farci immergere in una conversazione. E invece siamo rimasti seduti in quell’insulso silenzio.
Ci sono state serate in cui eravamo le uniche due anime a bordo di quella carrozza, forse di tutto il treno, e anche in quel caso mi sono imbarazzato all’idea di disturbarti. Sta leggendo il suo libro, pensavo, non vuole comunicare con me. Tuttavia, ci sono stati momenti in cui ho avvertito un legame. È capitato che qualcuno gridasse qualcosa di folle su Gesù e noi ci siamo subito guardati, come per registrare le reazioni dell’altro. Una coppia di adolescenti è scesa, tenendosi per mano, ed entrambi probabilmente abbiamo pensato: L’Amore dei Giovani.
Per sessant’anni siamo rimasti seduti su quella carrozza, fingendo a malapena di non notarci a vicenda. Alla fine ti ho conosciuta così bene, seppur superficialmente. Ho memorizzato le pieghe del tuo corpo, i contorni del tuo volto, il tuo respiro. Una volta ti ho visto piangere, dopo aver dato un’occhiata al giornale di un vicino. Mi sono chiesto se tu stessi piangendo per qualcosa di specifico o soltanto per il passare del tempo in genere, impercettibile e all’improvviso percettibile. Volevo darti conforto, avvolgerti nelle mie braccia, rassicurarti, dirti che sarebbe andato tutto bene, ma mi sembrava troppo sfacciato. E così sono rimasto incollato al mio posto.
Un giorno, a metà pomeriggio, ti sei alzata mentre il treno entrava nella stazione di Queensboro Plaza. Il solo alzarti in piedi ti è risultato difficile. Non lo facevi da sessant’anni.
Reggendoti ai corrimano, sei riuscita ad arrivare fino alla porta. Hai esitato un po’, forse aspettando che io ti dicessi qualcosa, dandomi un’ultima possibilità di fermarti. Ma, invece di liberare le mie pseudo-conversazioni soffocate per una vita intera, sono rimasto in silenzio. E ti ho visto scivolare via tra le porte scorrevoli.
Solo dopo alcune fermate mi sono reso conto che te ne eri andata davvero. Ho aspettato che tu risalissi in metro, per sederti accanto a me e appoggiare la testa sulla mia spalla. Senza dire nulla. Non era necessario.
Quando il treno è tornato a Queensboro Plaza, mi sono sporto. Forse eri lì, in banchina, ancora in attesa.
Forse ti avrei visto, sorridente e radiosa, con i lunghi capelli grigi agitati dal vento del treno in arrivo.
Invece no. Eri andata via. E allora ho capito che molto probabilmente non ti avrei più rivista. E ho pensato a quanto è incredibile poter conoscere qualcuno per sessant’anni e malgrado ciò non conoscere per niente quella persona.
Sono rimasto a bordo finché non sono arrivato a Union Square. Sono sceso e ho preso la linea L.

martedì 13 agosto 2013

…domani TU

Mentre cercavo una colonna sonora che ieri sera mi accompagnasse a casa, nella golf che viaggiava su strade battute e trafficate come non mai alle 3 di notte, all’improvviso dall’autoradio è sbucato Claudio Baglioni cantando “Strada facendo”, quella che conclude: “Perché domani sia migliore, perché domani tu…”. 
E ho notato che non te lo dice mai chi sia quel soggetto misterioso che può rendere migliore il domani (almeno così io la interpreto). O forse te lo dice proprio: sei solo TU e nessun altro.

domenica 11 agosto 2013

Una mattina d'estate


Stelle fuggenti

Stanotte il cielo è nero, forato da milioni di stelle...penso che l’amore sia come quelle stelle che passano. E se non stai lì in quel momento con il naso all’aria non le vedi e a volte non passano più… 

giovedì 8 agosto 2013

…sospeso

E resto qui… sospeso. Avvolto in decine di domande e in decine di risposte che non trovo. E resto qui, tra libri che conosco benissimo e muri bianchi dall’aspetto invitante e minaccioso. Quante volte mi sono chiesto che fare…quante volte mi sono chiesto come farlo…quante volte mi sono fidato di persone che mi hanno sparato alle spalle… forse troppe, e riconsidero tutta la mia vita. Ripenso a tutto, sapendo che spesso le scelte fatte le rifarei un altro milione di volte e ci sbatterei ancora il muso sugli stipiti e negli angoli facendomi sicuramente ancora male… tante volte male…perennemente in bilico tra quello che ho e quello che vorrei. Con nelle tasche una lista dei desideri che si allunga sproporzionatamente ai giorni che passano e diventa così enorme e pesante che le tasche si strappano e si lacerano e perdo pezzi di desideri in giro per il mondo…