lunedì 14 gennaio 2013

Letture a bordo #Open - La mia storia



Ieri ho terminato di leggere questo bellissimo libro che mi è  stato regalato per Natale da un caro amico. 
Anche per chi come me non ha mai preso una racchetta in mano, Open è un libro emozionante, avvincente, divertente, poetico e scritto in maniera fantastica. 
Agassi si racconta senza nascondere nulla: i successi, le sconfitte, i rivali, le donne, la depressione, il rapporto terribile con il padre, il campus-prigione di Bollettieri, l’amore-odio per il tennis, l’amore-amore per Steffi Graf, la droga. 
Non l’ha scritto lui il libro, ma è come se l’avesse fatto perché  J. R. Moerhinger, che per mesi ha raccolto le confessioni di Andre, è stato incredibilmente bravo a riportare sulla carta sfumature, dettagli, sentimenti, piccoli particolari, manco li avesse vissuti in prima persona. E alla fine è difficile e riduttivo considerare Open solo una autobiografia, è un bellissimo romanzo. 
Il libro comincia dalla fine, dall’Open di New York che ha rappresentato il suo ultimo spettacolo.
Ve ne faccio leggere un pezzetto.

“James, l’addetto alla sicurezza, ci accompagna al sottopasso. Come al solito è costretto in una striminzita camicia gialla e fa un cenno, come a dire: Noi addetti alla sicurezza dovremmo essere imparziali, ma io faccio il tifo per te.
James è agli US Open quasi da tanto tempo quanto me. Mi ha accompagnato lungo questo sottopasso prima e dopo gloriose vittorie e strazianti sconfitte. Grosso, gentile, con cicatrici di vecchie battaglie che porta con orgoglio, James assomiglia un po’ a Gil.
E’ quasi come se ne prendesse il posto in quelle poche ore in campo durante le quali sono al di fuori della sua sfera d’influenza.
Ci sono persone che conti di vedere agli Us Open: ufficiali di gara, raccattapalle, fisioterapisti – e la loro presenza è sempre rassicurante. Ti aiutano a ricordare dove sei e chi sei.
James è in cima alla lista. E’ uno dei primi volti che cerco entrando nell’Arthur Ashe Stadium. Quando lo vedo so di essere tornato a New York, e di essere in buone mano.
Da quando, nel 1993, uno spettatore di Amburgo si precipitò in campo e pugnalò Monica Seles nel corso match, la direzione degli US Open ha messo un addetto alla sicurezza dietro alla sedia di ogni giocatore durante la pause e i cambi di campo. James fa sempre in modo di trovarsi dietro alla mia sedia. La sua incapacità di mantenersi neutrale è incantevole. Durante un incontro massacrante, colgo il suo sguardo preoccupato e bisbiglio: Tranquillo, James, ce l’ho in pugno. E lui ridacchia, immancabilmente.
Adesso, mentre mi accompagna al campo per l’allenamento, non ridacchia. Ha l’aria triste. Sa che questa potrebbe essere la nostra ultima sera insieme. Tuttavia non si discosta dal nostro rituale pre-partita. Dice la stessa cosa che dice sempre.
Lascia che ti porti la borsa.
No, James, nessuno porta la mia borsa a eccezione di me.
Ho raccontato a James che quando avevo sette anni avevo visto Jimmy Connors che si faceva portare la borsa come se fosse stato Giulio Cesare. Avevo giurato in quell’istante che la mia me la sarei sempre portata da solo.
Sì, dice James sorridendo. Lo so, lo so. Me lo ricordo. Volevo solo rendermi utile.
Poi io dico: James, mi guaderai le spalle, oggi?
Ti guarderò le spalle, ragazzo. Certo. Stai tranquillo. Pensa solo a giocare.”




Nessun commento:

Posta un commento